Si è svolta ieri, mercoledì 5 aprile, presso la Basilica Concattedrale “Santa Maria Assunta” di Squillace, la Santa Messa del Crisma presieduta dall’Arcivescovo S.E. Mons. Claudio Maniago.
Anche quest’anno, in questa suggestiva celebrazione, i Presbiteri con il loro Vescovo si sono radunati attorno all’altare per rinnovare le promesse sacerdotali. Durante la celebrazione sono stati poi benedetti l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il Crisma, che saranno utilizzati durante l’anno in tutte le parrocchie della diocesi.
L’olio è stato offerto dalle parrocchie “Santa Maria Assunta” in Zagarise e “Santa Maria della Roccella” in Roccelletta di Borgia. Per il crisma, preparato con alcuni profumi, tra cui l’aroma al bergamotto offerto dalla Diocesi di Locri, è stato utilizzato anche l’olio del “Giardino della Memoria” di Capaci, simbolo di tutti gli uomini e le donne che hanno lottato contro la mafia pagando il caro prezzo della vita, a testimonianza che dal dolore nasce amore.
Di seguito riportiamo l’Omelia che l’Arcivescovo ha tenuto durante la celebrazione Eucaristica:
La celebrazione della Messa Crismale riveste un significato speciale perché rende visibile l’unità della nostra Chiesa diocesana, pur nella molteplicità di vocazioni che la formano. La liturgia di questa sera, pone uno speciale accento sul sacerdozio ministeriale: i presbiteri sono chiamati a rinnovare oggi, di fronte al loro vescovo, le promesse sacerdotali. Ma non per questo sono in secondo piano le altre vocazioni che trovano nel Battesimo la loro sorgente: è proprio nel dialogo, nell’ascolto e nel contributo di tutti, che la Chiesa si arricchisce e cresce, come ci sta insegnando il cammino sinodale.
Vi invito, pertanto, cari fratelli e sorelle a pregare per i vostri sacerdoti e per me, vostro vescovo, perché siamo fedeli, perseveranti, veri discepoli del Signore. Insieme affrontiamo la quotidianità e le fatiche del cammino cristiano e del ministero pastorale, ma abbiamo bisogno del vostro aiuto, della vostra preghiera, del vostro affetto e anche del vostro perdono.
Rinnovando questa sera le promesse presbiterali, ci rendiamo conto che, seppure il ministero conservi nel tempo la sua fisionomia essenziale, esso va situato e vissuto all’interno del contesto culturale e sociale in cui la Chiesa vive e opera, nella nostra Chiesa qui e oggi! Solo in questo modo il presbitero saprà rispondere alle attese della gente a cui il Signore lo ha inviato. Ci rendiamo conto che non è possibile semplicemente essere ripetitivi di quanto si è fatto sino a ora e, al tempo stesso, non è facile percorrere sentieri nuovi.
Anch’io insieme agli altri vescovi, mi trovo di fronte a un non facile discernimento tra il nuovo, che ancora non si delinea chiaramente, e uno stile legato al passato che rassicura, ma che ormai non parla più come prima. Papa Francesco ha spronato recentemente noi vescovi calabresi a interrogarci seriamente sulla formazione che i giovani ricevono nel Seminario, e ci ha invitati a cercare proposte forti che mettano loro di fronte alla realtà ecclesiale attuale e non a una ideale o astratta, che forse non corrisponde a quella che vivranno nel ministero pastorale, una volta usciti dal Seminario. Dobbiamo interrogarci e capire insieme quali siano le priorità per rendere evangelicamente fecondo il nostro servizio alla nostra chiesa diocesana.
Sono certo che per affrontare le sfide pastorali con cui oggi ci dobbiamo confrontare, è essenziale per noi vivere il nostro ministero sacerdotale in una sincera fraternità presbiterale. Il giorno dell’Ordinazione ciascuno di noi è stato inserito nella realtà comunionale che è il Presbiterio. Da allora siamo chiamati a vivere questa dimensione non con superficialità, o come un aspetto secondario, ma piuttosto come momento centrale nella spiritualità di comunione che deve guidarci. II motivo pastorale della collaborazione viene dopo, prima ci sono le motivazioni teologiche e sacramentali che ci uniscono. Si condivide l’identità che viene data dal sacramento dell’Ordine, come ci ricorda il Vaticano II: “Tutti i presbiteri, costituiti nell’Ordine del Presbiterato mediante l’ordinazione, sono uniti tra di loro da un’intima fraternità sacramentale” (Presbyterorum Ordinis, 8).
L’appartenenza al Presbiterio è parte essenziale dell’identità del prete. Non si dà identità senza appartenenza. Chi, talvolta, si chiama fuori, con scuse più o meno giustificate, e ha con i suoi confratelli relazioni tese, inconsistenti o addirittura solo formali, rischia di vedere sempre più indebolita la propria identità presbiterale. Dobbiamo favorire in noi il senso di appartenenza.
Come ci ricorda papa Francesco: “è fondamentale per un sacerdote ritrovarsi nel cenacolo del Presbiterio. Quest’esperienza, quando non è vissuta in maniera occasionale né in forza di una collaborazione strumentale, libera da narcisismi e da gelosie clericali, fa crescere la stima, il sostegno e la benevolenza reciproca; favorisce una comunione non solo sacramentale o giuridica ma fraterna e concreta” (Papa Francesco, Alla 69ma Assemblea Generale della CEI, 2016). Le parole del Papa ci invitano a guardare con concretezza al nostro vissuto. Dobbiamo cogliere quindi la grazia di questi giorni pasquali che nella memoria della Risurrezione del Signore ci offrono l’opportunità di crescere nella vita nuova che ci è stata donata, per interrogarci come Presbiterio, sulla qualità delle nostre relazioni, sulla sincerità del nostro stare insieme, sul reale impegno di comunione che ci renda più credibili nell’annuncio del Vangelo. Dobbiamo desiderare la fraternità che ci chiede il Signore e dobbiamo impegnarci anche con qualche sacrificio, per superare qualunque ostacolo ci impedisca di viverne il giusto clima fra noi.
Viviamo questa Messa crismale come vera manifestazione dell’intima comunione fra noi presbiteri e fra i presbiteri e il vescovo.
È questa comunione sacerdotale quella che maggiormente deve starci a cuore, poiché si tratta della prima e più efficace forma di carità pastorale. La quale non è un semplice mezzo in vista di una maggiore efficienza del nostro ministero, ma il vincolo di perfezione che ricompone nell’unità la nostra vita e la nostra azione. La carità pastorale scaturisce dal sacrificio eucaristico ed esige che tutti i presbiteri, “se non vogliono correre invano, lavorino sempre nel vincolo della comunione con i vescovi e gli altri fratelli nel sacerdozio” (Presbyterorum ordinis, 14).
Sbaglieremmo, però, se durante questa Messa concentrassimo l’attenzione unicamente sul sacerdozio ministeriale. Sotto i nostri occhi, infatti, sta per essere collocato il segno del Crisma, dell’olio, cioè, misto a profumi che, insieme con l’olio degli infermi e quello dei catecumeni, è preparato in questa messa crismale. Sia la prima lettura che il racconto evangelico, parlano di unzione con l’olio come di una consacrazione che, attraverso la potenza dello Spirito Santo, trasforma e abilita alla missione, una missione di salvezza e di misericordia. La seconda lettura dal libro dell’Apocalisse, per parte sua ci parla di Gesù il Cristo, il Messia, Unto del Signore, l’alfa e l’omega della storia, Colui che è, che era e che viene e che ci ha consacrati a nostra volta come popolo sacerdotale a gloria del Padre e salvezza dell’umanità.
Per mezzo del medesimo Spirito, tutti noi, battezzati, siamo stati quindi, resi partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo. Questo, dunque, è anche il momento in cui siamo chiamati a riconoscere la dignità del sacerdozio regale del popolo santo di Dio a cui noi apparteniamo. Dignità che si esprime nella vita santa, nelle opere di giustizia di ogni cristiano e nella missione che consiste nell'”ungere” di Cristo il mondo, nell'”ungere” con la santa unzione tutti i fratelli, facendo scendere abbondante l’olio della misericordia e della consolazione dentro la società di oggi, perché essa si rinnovi e diventi fraternità. Questo, fratelli e sorelle, è il nostro compito, il nostro impegno, la nostra preoccupazione.
Carissimi, viviamo in una società complessa e spesso violenta che crea confusione e smarrimento soprattutto nell’animo dei più semplici e dei poveri. L’ingiustizia sociale, la provvisorietà delle relazioni, l’indifferenza, rendono tutti più insicuri e rabbiosi. La presentazione di ideali vuoti e di una felicità a buon mercato, ci riempiono di menzogne e di desideri fasulli e illusori, aumentando in noi frustrazione e risentimento. Dentro questa società, dentro questo mondo lacerato da dissidi e contese, da prepotenze e ingiustizie, noi siamo chiamati, come popolo sacerdotale, a versare l’olio di letizia che è olio di compassione e di misericordia, l’olio di tenerezza e di mansuetudine. È la missione che il Signore ci affida in questo momento storico: versare l’olio della operosità silenziosa, l’olio della comprensione e dell’accoglienza per gli altri; l’olio dell’ umiltà e della mitezza, l’olio del perdono, l’olio del sorriso, del dialogo e della disponibilità semplice e quotidiana.
Carissimi, la benedizione dei tre oli ci richiama alcuni tratti irrinunciabili di questo ministero di “unzione” che ci è stato affidato a vantaggio di tutti. L’olio per gli infermi ci ricorda che siamo chiamati a portare conforto a quanti sono malati nel corpo, nell’anima e nello spirito, perché siano liberati da ogni malattia, angoscia e dolore. L’olio dei catecumeni ci chiede di essere vicini a ogni uomo che cerca la verità perché conosca più profondamente il Vangelo di Cristo, comprenda la bellezza della vita cristiana e la gioia di rinascere e vivere nella tua Chiesa. L’olio santo del Crisma ci richiama a far si che come discepoli di Cristo, ci impegniamo a spandere il profumo di una vita santa, collaborando al suo disegno di salvezza per tutti, consapevoli della grande dignità che ci è stata donata nel battesimo. In questa celebrazione ci sentiamo tutti, presbiteri, religiosi e religiose, laici uomini e donne, unico popolo di Dio consacrato dall’unico Spirito, a cui è affidato il compito di ungere i nostri fratelli con l’olio dell’amore di Cristo.
Preghiamo allora perché la Pasqua che ci apprestiamo a vivere sia per la nostra Chiesa di Catanzaro-Squillace un ulteriore momento di conversione alla vita nuova del Risorto, che si traduca per ciascuno di noi in un maggior impegno “a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri… a consolare tutti gli afflitti, a dare agli afflitti di Sion una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto” (Is 61,1-3).
In modo che si realizzino anche per noi le parole della Scrittura: “coloro che li vedranno, riconosceranno che essi sono la stirpe benedetta dal Signore” (Is 61,9).