Pubblichiamo di seguito il discorso di ringraziamento tenuto da S.E. Mons. Claudio Maniago in occasione della celebrazione Eucaristica per il suo 40° anniversario di Ordinazione Presbiterale:
Oggi – non certamente per un caso, ma nei disegni misteriosi di Dio – celebriamo la memoria della nostra Beata Nuccia Tolomeo, una delle due nostre Beate, quelle che sicuramente fanno da angeli custodi al cammino della nostra Chiesa. E questo, appunto, non è un caso, non può essere un caso, noi non crediamo nel caso.
Allora, nel disegno misterioso di Dio, è chiaro che la Beata Nuccia Tolomeo è qui a dirci una volta di più che la nostra vita deve essere una vita santa, dove santità non è una cosa astratta dalla vita, ma invece fa emergere la bellezza della nostra vita, una bellezza che non è estetica, ma è la bellezza di quel meraviglioso disegno che Dio ha su ciascuno di noi, meraviglioso disegno. Questa è la bellezza che noi dobbiamo mostrare.
E allora io, per me e anche per voi, raccolgo da questi miei quarant’anni tante cose, naturalmente, ma quattro le vorrei condividere con voi. Quarant’anni, quattro grandi cose che hanno segnato la mia vita e sono per me importanti.
La prima è la gioia. Io sono contento di essere prete, dopo quarant’anni sono contento. E, se posso dirlo, addirittura la mia gioia è cresciuta in questi anni. E sono più contento di quanto non lo fossi quarant’anni fa, quando, inebriato all’inizio di questa meravigliosa avventura a cui il Signore mi chiamava, certamente avevo nel cuore tanti sentimenti e tante emozioni. Ora la mia gioia è qualcosa di intenso, quotidiano, che non ha bisogno di effetti speciali, ma soltanto della quotidianità, del vivere la mia intimità col Signore e di spendermi in mezzo al popolo di Dio, lì dove Lui mi vuole. Una gioia che deve trasparire, lo dico per me e lo dico per voi: se il Signore è davvero la nostra vita, non può che trasparire gioia, anche se il nostro cammino è provato, anche se il nostro cammino è segnato dalla sofferenza. Allora, questa prima cosa la voglio far emergere e consegnarvela. Riprendiamo il nostro cammino di santità, come popolo santo di Dio, soprattutto nella gioia.
La seconda – non è un ordine di importanza – è la Parola di Dio. Oggi ho fatto questa scelta di mettermi con voi in ascolto della Parola di Dio. Lo faccio sempre, certo, ma ho voluto sottolinearlo anche con colui a cui abbiamo chiesto di spezzare questa Parola per noi – e ringrazio don Franco per essersi preso l’onere di questo impegno –, per sottolineare quanto è la Parola di Dio che deve guidare la nostra vita e che deve aiutarci – l’unica che può farlo – a trovare il senso di quello che facciamo, il perché, la bellezza. E, appunto, perché no? Anche i motivi di gioia per cui noi spendiamo la nostra vita e la spendiamo in un orizzonte di fede, di questo Dio che Gesù ci ha mostrato nel suo volto. Soltanto nella Parola di Dio, soltanto nel suo Vangelo, noi possiamo trovare questa verità che ci illumina il cammino. Seconda consegna: non allontaniamoci mai dalla Parola di Dio, è davvero la via maestra, è la luce dei nostri passi.
La terza parola la prendo da quella che era il ritornello del Salmo responsoriale della mia ordinazione sacerdotale. Io sono stato ordinato durante la Messa Crismale e il ritornello del Salmo è: “Canterò per sempre l’amore del Signore”. Cantare l’amore del Signore. Cantare, lo sappiamo, – e ringrazio la corale che anche stasera ci ha sostenuti nella nostra preghiera – è la modalità più intensa con cui noi esprimiamo la gioia, la preghiera e anche il nostro amore, un amore che non ha niente di sentimentalistico, ma che è invece un vero nutrimento del nostro cammino. Siamo nati per amare e per ricevere amore e se questo circolo virtuoso si inceppa per noi nascono problemi. Amare il Signore, prima di tutto, riconoscendone la presenza accanto a noi, in mezzo a noi, la sua presenza salvifica per noi. Imparare ad amare anche noi stessi, amandoci di un amore non egoistico, un amore che invece riconosca le meraviglie che il Signore fa anche attraverso quella che per noi può sembrare una povera persona, ma che agli occhi di Dio è preziosa e vale il sangue di Cristo. Un amore che poi diventa attenzione agli altri, da non vedere e magari usare solo per i nostri fini, ma al contrario da amare, soprattutto quando le persone che incontriamo sono bisognose della nostra vicinanza, della nostra attenzione, della nostra cura e anche delle nostre braccia, del nostro aiuto. Un amore che davvero diventi pane quotidiano. Quindi vi invito, anche questo come una consegna: cantiamo insieme l’amore del Signore, che non vuol dire che siamo spensierati, ma al contrario, che siamo ben incarnati in questa terra, in questo momento storico e vogliamo che questa terra, questo momento storico si squarci e possa entrare la luce e la presenza del Signore.
E infine la quarta parola. Ha un nome proprio: è Maria, sì, la Madonna, che i predicatori di una volta usavano per chiudere la loro riflessione. Anche noi seminaristi, ricordo, quando il cardinale a Firenze citava la Madonna, cominciavamo a respirare perché voleva dire che andavamo verso la fine. Era la chiusura di ogni buona omelia. Anch’io la uso, la uso però per dirvi come la presenza di Maria nella mia vita è stata veramente importante, lo è e non per un mammismo che caratterizza forse un po’ noi italiani, quanto piuttosto perché lei è la discepola del Signore. La sua forza, il suo coraggio, il suo cuore trafitto ci parlano davvero di un’umanità che può seguire il Signore attraverso le prove, attraverso i momenti difficili, attraverso anche le sofferenze, ci possono dire come solo quella tenacia, che, mi verrebbe da dire, una donna in particolare ha saputo incarnare e vivere, è per noi motivo non solo di esemplarità, non è un modello solo da imitare, ma in qualche modo ci rassicura, anche perché lei è un dono per noi, fatto non a caso dall’alto della croce. E allora riprendiamo il nostro cammino e certamente sentiamo Maria particolarmente vicina a noi, madre certo, ma anche maestra, maestra per un discepolato che sia autenticamente cristiano e dica al mondo che il Redentore è risorto ed è in mezzo a noi.
Ecco, fratelli e sorelle, io spero davvero, e vi ringrazio, che questa celebrazione possa essere stata un momento di gioia e di festa per la nostra Chiesa. Solo così la potrei vivere, perché non ho bisogno di onori, ho bisogno di sentirmi in mezzo a voi pastore, certo, ma anche fratello, sentirmi in mezzo a voi in cammino, cammino impegnativo, faticoso, ma un cammino gioioso perché è fatto nel nome del Signore.
E l’ultima cosa che mi dovete permettere è un saluto, un saluto a tutti voi personalmente, uno per uno, certo, ma in particolare è doveroso per me salutare i signori sindaci, il sindaco di Catanzaro e il sindaco di Squillace, le due città che dicono la nostra diocesi.
La loro presenza è motivo, lo sappiamo e lo credo profondamente, non solo di carattere istituzionale, ma credo di poter dire anche di stima e di rispetto e – perché no? – anche di amicizia. Siamo tutti impegnati per la bellezza di questa terra e, quindi, vi ringrazio di cuore.
Poi devo ringraziare il vicario generale e tutti quelli che si sono dati da fare, in verità anche in maniera molto riservata. E qui davvero sono stati bravissimi perché mi hanno fatto un sacco di sorprese, per cui da una celebrazione che per me doveva essere molto semplice, non dico familiare ma quasi, mi sono ritrovato ad avere davvero tante sorprese, fra le quali anche la presenza di carissimi amici, parenti che sono qui, piccolo segno delle tante persone care nel mio cuore, amici di una vita, amici con cui condivido davvero un percorso di gioia umana che viene da lontano.
Quindi davvero grazie di cuore al vicario, a tutti coloro che si sono dati da fare, a don Stefano che sotto sotto è stato davvero un grande regista. E davvero grazie a tutti quanti voi, nessuno escluso. Avete fatto tutti la vostra parte e questa è la bellezza della nostra Chiesa: ognuno che fa la sua parte e quindi insieme facciamo cose meravigliose.
Grazie di cuore.