Missione, testimonianza e prossimità: la svolta del Sinodo

S.E. Mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola, vescovo di Carpi e presidente del “Comitato nazionale del Cammino Sinodale”, ha incontrato oggi nella chiesa di Roccelletta di Borgia i presbiteri e i diaconi della Diocesi di Catanzaro-Squillace.

Un incontro preparato e voluto dall’arcivescovo Claudio Maniago per continuare la riflessione e il lavoro avviato in questi anni sul cammino sinodale e sull’essere chiesa oggi. Proprio nei giorni scorsi, la Chiesa diocesana ha trasmesso a Roma le risultanze del percorso sinodale che ha quest’anno coinvolto i consigli pastorali parrocchiali delle varie vicarie della Diocesi.

 

L’occasione è stata quindi favorevole per riflettere sul cammino intrapreso grazie all’autorevole contributo di monsignor Castellucci che ha parlato davvero al cuore dei sacerdoti presenti all’incontro. Nel fare riferimento all’icona evangelica dei discepoli di Emmaus, Castellucci ha evidenziato il primato della dimensione missionaria della Chiesa per non perdersi nel rischio dell’autoreferenzialità: “Papa Francesco non perde occasione per ricordarci che siamo discepoli missionari, oltre che apostoli. Possiamo desumere alcune caratteristiche dello stile di Gesù. La prima è il cammino delicato accanto alle persone. Molta gente non si ricorda le prediche, le meditazioni che facciamo, ma persone che non sono assidue o addirittura non sono praticanti, si ricordano quella volta in cui è morta la mamma e noi siamo stati lì, accanto, magari con una mano sulla spalla. Quello che fa ardere il cuore, tante volte, non è per quanto dobbiamo curare l’omelia, la predicazione, non è la parola che diciamo, ma camminare accanto lungo la via”.

“Un’altra grande richiesta in questo cammino sinodale – ha aggiunto Castellucci – è proprio quello della prossimità, una Chiesa prossima. La prossimità è un veicolo di annuncio: Gesù non solo si avvicina delicatamente, ma accompagna l’intero cammino. Quando Gesù comincia la sua missione lo fa camminando, sovvertendo tutti i criteri didattici dell’epoca, sia quelli dei filosofi greci, sia quella quelli dei rabbini ebrei. Perché non ha una scuola fissa, non ha un’aula, non ha una cattedra. La forza di Gesù è che, dall’esperienza occasionale, trae un insegnamento; non contrappone l’idea all’esperienza, ma dall’esperienza aiuta i discepoli a trarre l’idea, insegnandoci che è dall’esperienza che si ricava il regno di Dio. Questo aspetto, che pure non è facile, riguarda anche la catechesi che non può essere più intesa solo come la dottrina da trasmettere. Perché poi i ragazzi e gli adulti devono riuscire a leggere l’esperienza e confrontarla e bagnarla nel Vangelo”.

Facendo riferimento a giovani chiese come quelle in Madagascar, Castellucci ha infine evidenziato che “non c’è abbondanza di mezzi, ma abbondanza di giovani entusiasti, di gioia, di essere lievito, che a noi manca. È una chiesa che si preoccupa più di esserci che di contare. Non è perciò importante chiedersi quanti siamo come siamo abituati a fare noi, quasi che la quantità sia la misura della fedeltà al vangelo. Dobbiamo essere capaci di produrre uno stile di chiesa preoccupato, come Gesù, più dell’essere che non di contarsi, di imporsi”.

 

Dall’incontro con monsignor Castellucci, l’Arcivescovo Maniago ha puntualizzato i numerosi spunti di riflessione che stanno già caratterizzando il cammino sinodale: dalla necessità di rimettere al centro di tutta la vita cristiana la missione e la testimonianza, al ripensare il linguaggio e la comunicazione a tutti i livelli, alla formazione stessa che, come chiede papa Francesco, dev’essere più kerygmatica, maggiormente attenta all’annuncio del centro del Vangelo. “La vera sfida – ha concluso Maniago – riguarda uno stile e il modo di essere Chiesa che parte dall’ascolto della Parola di Dio e dall’ascolto vicendevole per poi orientarsi nel cammino”.