Solennità del “Corpus Domini”: “crescere nell’impegno, nella generosità, nella creatività della nostra carità”

Ieri, giovedì 8 giugno, la comunità diocesana di Catanzaro-Squillace si è ritrovata presso la Basilica “Maria SS. Immacolata” di Catanzaro, per vivere, insieme con l’Arcivescovo, S.E. Mons. Claudio Maniago, la Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo con la celebrazione Eucaristica e, a seguire, con la processione con il Santissimo Sacramento per le vie della città.

Grande e numerosa la partecipazione da parte dei presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose, le confraternite, le associazioni, i movimenti e i gruppi laicali e i fedeli laici.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’Omelia tenuta dall’Arcivescovo S.E. Mons. Claudio Maniago e, in allegato, la preghiera letta al termine della processione, che si è conclusa con la Benedizione Eucaristica impartita dall’Arcivescovo sul sagrato della Basilica.

 

La Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo ci convoca stasera attorno al Signore Gesù, che si dà a noi nel pane eucaristico. È una grazia poter di nuovo celebrare insieme l’Eucaristia qui come comunità diocesana e vivere con devozione la tradizione della processione cittadina, un camminare insieme che ci proietta in un orizzonte di speranza, per non fare le stesse cose di prima e come prima, ma piuttosto come un invito a rinnovare e approfondire la nostra relazione con Dio e con gli altri e dare senso ai segni e ai gesti della nostra fede e a nutrirli con nuova consapevolezza e impegno.

Siamo invitati ancora una volta stasera con forza a uscire da un atteggiamento di abitudine e passività nel celebrare l’Eucaristia per lasciarci coinvolgere personalmente, nel cuore e nella mente, così da farci attenti al “mirabile sacramento” nel quale il Signore Gesù rinnova il memoriale della Sua Pasqua, in questo stesso sacramento in cui realizza il dono totale di se stesso sulla Croce per la nostra salvezza.

L’Eucaristia che stiamo celebrando e la processione, che vivremo fra qualche istante, stabiliscono una profonda relazione tra noi e il Signore: non restando una presenza esteriore o sovrapposta alla nostra vita, ma una realtà intima, personale, profonda. L’Eucaristia, infatti, ci trasforma in uomini e donne “eucaristici“, cioè capaci di gratitudine, di ringraziamento, di comunione con Dio e con gli altri.

Comprendiamo allora che l’Eucaristia non è un premio da vivere nella solitudine, ma piuttosto un dono che ci apre alla comunione con Dio nella relazione con gli altri, dove Gesù è presente. Questo sacramento viene chiamato talvolta anche “il pane del cammino” in ricordo della manna del deserto, che ha nutrito il popolo verso la terra promessa. Il pane che ci dà la forza per camminare nell’esistenza quotidiana, talvolta faticosa e oscura, illuminandola con le parole di Gesù: “Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo“.

Al tempo stesso questo pane eucaristico ci sfida. Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci chiede di aprire i nostri occhi. C’è molta gente affamata, affamata certo di Dio, ma purtroppo anche del pane materiale. È un dramma che tocca da vicino noi e tanti nostri fratelli e sorelle, anche della nostra Città, della nostra terra, e che riporta in primo piano la consapevolezza che siamo in un mondo interconnesso e dipendenti gli uni dagli altri e ci invita a una carità più operosa.

Oggi veneriamo e adoriamo il Signore presente nell’Eucaristia, in un piccolo pezzo di pane. Ma l’Eucaristia ci invita a uscire da noi stessi e a renderci conto della necessità di pane, di alimento, per tanti nostri fratelli. Tanti uomini e donne nel mondo soffrono per la mancanza di pane e il loro corpo, immagine di Dio e presenza di Cristo, soffre perché affamato, martoriato, torturato e, troppo spesso, dimenticato. Prima del conflitto in Ucraina, il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite prevedeva che 193 milioni di persone fossero a rischio immediato di povertà e di carenza di cibo, una stima che purtroppo rischia di essere inadeguata e, comunque, sempre più in aumento.

Tutto questo ci interroga proprio nel momento in cui noi celebriamo e adoriamo, nel pane eucaristico, il Corpo del Signore. Egli si è identificato nei poveri, nei sofferenti e ha chiesto a noi di avere uno sguardo speciale per loro: “Quello che avete fatto a uno di questi piccoli lo avete fatto a me“. E, dunque, non ci può lasciare indifferenti ciò che capita ai nostri fratelli, alle nostre sorelle, o lontani, ma anche, comunque, vicini a noi.

Insieme, quindi, a un rinnovato nostro impegno di testimonianza cristiana, che si traduce in carità operosa e concreta, vogliamo in questa occasione ricordare al Signore tutte le istituzioni preposte al governo della nostra Città e del nostro territorio, augurando loro un buon lavoro nella certezza che vorranno occuparsi nel modo migliore delle persone che la abitano, con un particolare sguardo verso coloro che aspettano il pane materiale, che aspettano la dignità di un lavoro, l’opportunità di crescere nella cultura e nello spirito, per poter vivere con speranza la propria esistenza.

Uno sguardo verso coloro che sono lasciati ai margini della nostra comunità e che non hanno voce e possibilità di farsi sentire. Non sempre è facile trovare soluzioni, ma siamo chiamati a cercarle insieme perché la vita di queste persone ci coinvolge. Il Signore, a noi che ci diciamo suoi discepoli, ci fa la domanda: “Dov’è tuo fratello?“.

Non possiamo rimanere tranquilli sapendo che ci sono persone che vivono nella sofferenza, nell’abbandono, nel disagio. Papa Francesco all’inizio del suo pontificato ci esortava a guardare la realtà partendo non dal centro ma dalla periferia, per renderci conto delle situazioni di fatica di tanti. Solo in questo modo possiamo farci attenti e presenti. È il Signore stesso che ce lo insegna, percorrendo le strade della Palestina e immergendosi nella vita dei piccoli villaggi e delle periferie.

Portare l’Eucaristia in processione, allora, non è l’esibizione di un qualche potere sociale o sottolineare che siamo presenti come gruppo, ma piuttosto è annunciare che il Signore stesso che ci apre la strada, è lui che ci fa camminare, che ci fa guardare dove viviamo, con chi viviamo, chi sono i nostri fratelli. Cosa possiamo fare come cristiani? Possiamo farci attenti personalmente ai poveri della porta accanto, ma anche dare una mano alle istituzioni che già operano nell’attenzione ai poveri: la nostra Caritas, le Caritas che ci sono nelle nostre comunità parrocchiali, le mense dei poveri, le strutture, per esempio, della Fondazione Città Solidale, che fanno tanti servizi per le persone in disagio, il Centro Calabrese di Solidarietà e le altre realtà che si mettono al servizio dei poveri.

In un altro brano del Vangelo Gesù descrive la situazione della folla come una situazione di povertà e di penuria dove tanta gente ha bisogno di cibo e di riparo. E in quel contesto Gesù, in modo inaspettato, provoca i discepoli: “voi stessi date loro da mangiare”. Occupatevi voi di questo problema! Ed ecco i discepoli – e ci siamo anche noi in questo gruppo – avvertono la propria povertà e limitazione: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci”. Cos’è questo per tanta gente? Ma il Signore ancora una volta accoglie la nostra povertà, quei pochi pani e quei pesci, e attraverso la sua Parola e la Sua preghiera li moltiplica, li rende “comunione e condivisione” per molti.

A questo siamo chiamati, fratelli e sorelle: a mettere con fiducia nelle mani del Signore la nostra povertà, anche in relazione alle tante problematiche sociali delle nostre comunità, ad ascoltare il Signore che ci stimola a fare la nostra parte, a crescere nell’impegno, nella generosità, nella creatività della nostra carità.

In conclusione ripeto per me e per voi le parole con cui abbiamo cominciato questa celebrazione: “Fa che nella partecipazione all’unico pane e all’unico calice impariamo a condividere con i fratelli i beni della terra e quelli del cielo“. Amen.